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I 5 antichi mestieri dell’Arno scomparsi

L’Arno è il fiume attorno a cui ha girato l’economia di Firenze per secoli. Andiamo alla scoperta dei 5 antichi mestieri dell’Arno scomparsi tra il Pignone e l’Isolotto

L’Arno un tempo non era solo un fognone a cielo aperto che divide in due la città. Era anzi, il nastro vitale, sociale e economico che vi scorreva al centro. Tantissimi erano i mestieri legati al fiume, per secoli migliaia e migliaia di famiglie sono campate delle risorse che l’Arno offriva. Un fiume capriccioso, a volte poco più di un rigagnolo, a volte gonfio d’ira e maestoso, facile a esondare. Spesso benevolo, ma talora di una cattiveria senza pari, capace di camparti per una vita e poi ucciderti per gioco.  Il corso dell’Arno era molto diverso da quello che oggi ci appare, e il nostro quartiere non fa eccezione. Anche se negli ultimi anni la qualità delle sue acque è molto migliorata, purtroppo tanti di quei mestieri che si svolgevano in riva all’Arno sono scomparsi. Andiamo alla scoperta dei cinque mestieri antichi dell’Arno che si svolgevano tra Santa Rosa e l’Isolotto.

I navicellai (scorrettamente chiamati anche navaioli): erano i trasportatori che con barche lunghe fino a 15 metri, larghe e dai bordi alti, così da massimizzare la capacità di carico, si occupavano del trasporto delle merci lungo l’Arno. Le barche  avevano un albero abbattibile, per poter issare una vela e sfruttare anche la forza del vento. Essi abitavano per lo più nella parte più prossima all’Arno della zona del Pignone, tanto da aver fondato un sobborgo tutto loro, il Borgo dei Navicellai appunto. La scelta del luogo non era casuale: qui stava l’antico porto di Firenze.

Ben prima che venissero inventate le autostrade e i motori a scoppio (il cui primo esemplare italiano fu tra l’altro prodotto proprio qui, ma questa è un’altra storia), l’Arno era una vera e propria autostrada per il trasporto di cose e persone, che forniva naturalmente la spinta: un motore a emissioni zero e ad energia rinnovabile, si direbbe oggi. Dall’800 in poi invece l’Arno mutò fisionomia ed era problematico risalire il tratto più prossimo a Firenze con barche grandi, essendo questo spesso in secca; si dovette creare perciò una porto a valle di Signa, dove le merci venivano messe su barchetti più piccoli, simili a quelli dei renaioli.

renaioliI renaioli (o renai): erano coloro che per mestiere estraevano la rena e la ghiaia dal letto dell’Arno. Così non solo recuperavano materiali preziosi per l’edilizia, ma facevano anche un’importante opera di pulizia del fiume.  Lavoravano su appositi barchetti  panciuti, estraendo la sabbia con una pala, dopo aver bloccato la barca con tre stanghe conficcate sul banco di rena. Il barchetto veniva caricato al massimo, sembrava quasi affondare. Il renaiolo, stava poi a poppa del barchetto e con una robusta stanga si spingeva verso la riva, utilizzando le gambe per muovere il timone. A terra poi, il renaiolo vagliava il carico con una rete metallica, per ottenere rena e ghiaia di diverso calibro. La cultura e il patrimonio storico dei renaioli è oggi difeso dall’associazione I renaioli, che oltre a compiere importanti ricerche e mantenere la memoria storica di questo antico mestiere fiorentino, organizza delle affascinanti gite in Arno a bordo di barchetti che ha provveduto a salvare dall’abbandono.

Di Stanislao Pointeau (1833-1907) - Private Collection published on L' Arno e la Toscana 1700-1900, 2009 Calendar by Cassa di Risparmio di Firenze, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5543582I barrocciai: la rena raccolta in Arno dai renaioli, doveva essere portata alle imprese edili con barroccio da rena. Così ugualmente le merci che arrivavano via fiume a Firenze e in qualche modo dovevano proseguire su terra. In zona nostra esiste ancora, tra il Torrino di Santa Rosa e il Ponte Vespucci, una discesa che veniva utilizzata  per scendere sulle rive a caricare i barrocci. I barrocci erano spesso carichi all’inverosimile e trainati da cavalli da tiro pesante o da bovi.

I navalestri o traghettatori: erano coloro che traghettavano persone, veicoli e merci da una sponda all’altra dell’Arno, là dove non c’erano ponti. Con delle zattere attaccate a una corda, tirata a braccia,  facevano la spola da una riva all’altra con grossa corda( (detta canapo) trasportando persone, carri e egli ultimi anni anche macchine e furgoni. Prima dell’alluvione, nel nostro quartiere si ricorda Renato Pieri, che rimase in attività fino all’alluvione del ’66; poco più a monte, prima della costruzione del  Ponte Sospeso (l’attuale Ponte alla Vittoria), ce n’era un altro, la così detta Nave al Pignone.

I pescatori: tenevano il pesce pescato in delle zucche svuotate, ancora vivo, e lo portavano, appunto, al mercato del pesce. Usavano un barchetto molto più piccolo, di 6 metri, senza il timone, estremamente agile, che richiedeva una grande abilità per essere portato. Con questi barchetti, più corti rispetto a quelli di renaioli e navicellai, veniva svolto il famoso palio dei navicelli; a dispetto del nome veniva però gareggiato sui barchetti. Si sfidavano tutti gli uomini che lavoravano in Arno ed è una gara fiorentina ancora più antica del calcio storico. Si svolgeva nel tratto da Ponte Vecchio a Ponte alla Carraia il giorno di San Jacopo Chi vinceva aveva in premio una pezza di stoffa messa in palio, appunto, dal priore di San Jacopo Soprarno.

Si ringrazia l’associazione I renaioli per la preziosa consulenza data nello scrivere questo articolo

La nostra attività è possibile anche grazie al sostegno di queste attività di quartiere
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