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102 anni per nonna Annita, grande festa all’Rsa le Magnolie

La fame, le guerre, i campi di concentramento, l'amore trovato a Firenze, la famiglia, il lavoro, le discriminazioni di genere, le libertà conquistate, il Covid-19, l. La storia di una donna testimone di un secolo, dalla Romagna all'Isolotto.

102 candeline sabato per Annita Valentini, una signora ospite da cinque anni all’Rsa Le Magnolie dell’Isolotto. Il segreto? «Lavorare tanto, ma con piacere e quando potevo divertirmi un po’, ma lavorare, lavorare finché si può; e mangiare bene»,  specialmente i piatti della sua tradizione; ma soprattutto non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. Che pure per Annita sono state tante, tuttavia non si è mai scoraggiata e ha sempre ritrovato la forza e il sorriso di andare avanti.

La storia di Annita comincia in quel 1919 ancora distrutto dalla Prima Guerra Mondiale. La terribile Grande Guerra che le strappa via il babbo al fronte ancora prima che nascesse, fronte da cui non sarebbe mai tornato vivo.  Annita nasce sulle colline della provincia di Forlì, da povera famiglia contadina; la madre si trova a doverla crescere da sola, insieme ai tre fratelli. Non poteva ancora sapere che a pochi chilometri da lì, nel frattempo, in un paese vicino, un altro ex combattente, invece sopravvissuto alle ferite di guerra, stava tornando dal fronte e avrebbe duramente marchiato la sua gioventù: Benito Mussolini, che sarebbe stato fautore di quella tirannia che Annita ricorda ancora con dolore: «Io ho vissuto la dittatura. Sa cosa vuol dire la dittatura?  Ho visto quattro guerre (Prima guerra mondiale, campagna d’Africa, Seconda guerra mondiale e pandemia Covid-19, ndr), l’ultima è stata il Virus», racconta Annita.

La fame era tanta e le bocche per la mamma, povera contadina sola, troppe: «Andavamo a raccogliere le castagne, poi si seccavano per l’inverno; mio fratello le metteva in un modo che i marroni si mantenevano freschi a lungo. Avevamo fame: mia mamma faceva un paiolo di ballotte e ne dava tante per uno e ci diceva: ognuno mangi le proprie e guai a litigare. Quando cuoceva i fagioli e la polenta uguale. Siccome avevamo due mucche, allora avevamo il latte: la sera un bel caffellatte, quello senza miseria, una bella tazza grande, e una fetta di pane. E poi avevamo le galline, e per le occasioni importanti ne ammazzavamo una; le uova le utilizzavamo per fare la sfoglia e la pasta. Così è riuscita a tirarci su tutti grandi, belli e in salute»

Quella che l’ha segnata di più, tra le quattro guerre, è stata certamente la Seconda Guerra mondiale: «Ero in montagna, ancora sul versante romagnolo, vicino Forlì. Ho visto passare il fronte, li ho visti passare tutti. Quando arrivarono gli Americani, ci tiravano le caramelle. E mia mamma, che pesava 30 chili appena e aveva un dente solo, durante la guerra per dare da mangiare a noi, mi diceva: “mangia, mangia”. Mussolini per la Befana e a Natale alle vedove di guerra dava un pacco da mangiare. Ci dava un bel pacco, ci metteva le caramelle, lo zucchero in polvere, un po’ di carbone per bruciare, qualche mandarino e altre cose buone».

Uno dei suoi fratelli viene fatto prigioniero dai Nazisti: «Ha fatto quattro anni di campo di concentramento in Germania e dice sempre, e lo dice ancora, perché è l’unico fratello che mi è ancora vivo: “quello che io ho mangiato non lo dirò mai a nessuno”. Cosa avrà mangiato? Nessuno lo sa, non lo ha mai detto. Poi ha visto anche questo: veniva buio e dicevano (i Tedeschi, ndr): “Ora che avete lavorato, andate a fare un bel bagno”, le donne da sé, anche con i bambini in collo, e gli uomini da sé. Dopo un pezzetto che erano dentro, vide che non uscivano più, ma cominciò a uscire del grande fumo da questi capannoni, perché utilizzavano il gas e li ammazzavano. Sentirono un grande puzzo: capirono che li bruciavano tutti. Lo ha visto coi suoi stessi occhi. Lui si è salvato perché era diventato amico di uno (un tedesco, ndr.), che gli si era  affezionato».

Annita, ancora ragazzina, a casa di alcuni parenti, conosce Mario, macellaio di Firenze, che diventerà l’amore della sua vita: «Siamo andati avanti un bel po’, io a Forlì e lui a Firenze…». I genitori di entrambi guardano storto quel rapporto prematuro. Poi arriva la guerra: «È stato quattro anni prigioniero in Corsica. Quando è tornato, c’era ancora la miseria. Il mangiare era ancora poco: pane a razione, ci voleva la tessera..»

Ma chi la dura la  vince e nonostante opposizioni e difficoltà, l’amore ha la meglio. Con Mario si sposa, viene a vivere a Firenze  lavora in macelleria nella bottega del marito alle Cure. Tutto sembra filare liscio, una favola, coronata pochi anni dopo dalla nascita di Fabrizio. Ma uno spettro incute sulla famiglia: beffa di un destino avverso, anche Mario le viene strappato. Il marito muore giovane e Annita rimane vedova come sua mamma, con Fabrizio da crescere.

«Mio figlio mi disse: questo lavoro a me non piace. Mio suocero gli chiese: “Cos’è che vuoi fare?”, “Io voglio fare un altro lavoro”. Lo abbiamo fatto studiare fino alla quarta e poi è andato a fare il tipografo, ha fatto sempre quel lavoro lì finché è andato in pensione. Io non potevo portare avanti la bottega da sola. Quando è morto mio marito e poi è morto mio suocero, con mio figlio che non voleva lavorarci, io ero sola, non potevo rimanere lì. Soldi ne avevo pochi, punti, i miei in Romagna li avevo lasciati. Mi hanno aiutato un po’, ma dovevo tirare avanti, crescere un figlio. Non avevo la casa, pagavo l’affitto. Per tirare avanti lavoravo facendo servizi a casa delle signore (colf, ndr). Stavo bene come salute, per fortuna di quella ne ho avuta tanta. Ho sempre lavorato tanto e volentieri, e il lavoro mi dava tanta vita e coraggio».

Fabrizio l’ha fatta diventare nonna di una splendida nipote, che l’ha fatta diventare bisnonna di due nipoti ancor più splendide: «Voglio veramente tanto bene alle mie nipoti e anche alla mia nuora, che è davvero molto brava e dolce. Ho il cuore che mi si gonfia di affetto, perché io alla mia famiglia voglio proprio bene, non dico per dire, è proprio un bene vero e grande».

Nonostante l’età avanzata, ancora oggi, ad Annita star ferma a non far niente non piace; anzi, prima che a scopo precauzionale per l’emergenza Covid-19 le uscite fossero sospese, amava vedere posti nuovi o tornare nei luoghi della sua infanzia: «Uscivamo e andavamo ai musei. Due anni fa sono tornata in Romagna a festeggiare i cento anni, a Forlì, con mio figlio, mia nuora e mia nipote. E poi tutta la banda della Romagna: non so quanti eravamo, ma eravamo tantissimi. Eravamo fuori in un locale e si è fatto una grandissima festa. Si sta bene in Romagna, si vive bene, ci torno sempre volentieri».

L'Rsa le Magnolie
L’Rsa le Magnolie

«È una persona che ha tanta voglia di vivere – afferma Giulia, educatrice all’Rsa – Tutte le volte lei è sempre la prima a voler partecipare alle attività. Le piace ballare, è una grande ballerina. Abbiamo fatto le tagliatelle e lei ha tirato la sfoglia a mano, da vera romagnola…»

«A me piaceva tanto farle, e in Romagna usa», riprende la parola Annita. E poi la grande passione per il ballo: «Andavamo a ballare a Forlì, e poi al mare, che da lì era vicino. Andavo con i miei fratelli perché da sola non si poteva. “Guai, che vergogna”, avrebbero detto se una ragazza andava sola. Perciò andavo sempre con loro.. certo prima il dovere e poi gli svaghi».

Una società bigotta, di un secolo fa, ancora viva nella memoria di Annita, che a sentirla ora sembra di ascoltare storie delle montagne afghane più che dell’Appennino. Le pari opportunità erano ancora un’utopia, nemmeno concepita, e le libertà sociali una chimera: «Non si poteva rimanere da sola fuori coi giovanotti. Gonne molto lunghe e trucco poco o niente. Mia madre non voleva assolutamente… A tanti giovani che erano stati trovati a baciare una ragazza, gli toglievano il cappello e gli rovesciavano un secchio di catrame bollente in testa. Di catrame! Perché avevano dato un bacio. Ma si rende conto? Giovanissima, verso i quindici-sedici anni, mio fratello maggiore che mi faceva da babbo, mi vide a parlare con uno. Mi diede uno schiaffo qui in faccia che me lo ricordo ancora e mi disse: “vieni in casa ad aiutare la mamma, poi c’è il resto”. Perché solo parlavo; e anche la mia mamma cominciò a dire “l’ha ragione, che vergogna, le donne non lo devono fare“».

Per fortuna molte libertà sociali sono state conquistate nei decenni, anche se il percorso ancora non è compiuto e la parità di genere è ancora una battaglia aperta. Tuttavia di strada ne è stata fatta: oggi una donna è libera di truccarsi, farsi bella. Una libertà di cui la signora conosce il valore e con una raffinatezza senza tempo si fa partecipe, perché nemmeno da anziani bisogna buttarsi e giù e tralasciare l’aspetto: «Il suo vero segreto? Tutte le mattine si passa un pochina di crema sul viso..», scherza Giulia.

E bella come non mai sabato pomeriggio Annita ha festeggiato il compleanno con gli amici, la famiglia, il personale dell’Rsa Le Magnolie e persino le Istituzioni che sono venute a renderle omaggio:

«Le hanno organizzato una bellissima festa – racconta il presidente di Quartiere 4 Mirko Dormentoni, presente insieme all’assessora Sara Funaro – Le abbiamo portato gli auguri del sindaco e tre rose bianche. Siamo stati un’oretta in compagnia e lei ci ha raccontato un po’ della sua lunga e difficile vita (“sapeste quanto ho combattuto”), babbo morto in guerra mai conosciuto, povertà nella campagna rimagnola tra le due guerre, un fratello internato nei campi di concentramento nazisti che ce l’ha fatta a tornare a casa dopo quattro anni, l’amore trovato a Firenze, passione per il ballo liscio, un figlio, una nipote, un bisnipote, il covid sconfitto l’anno scorso, tante persone che le vogliono bene (“se si porta rispetto, educazione e gentilezza, rispetto, educazione e gentilezza si ricevono in cambio”). Auguri e Felicità ad Annita e a tutti noi affinché possiamo imparare e conservare la sua semplicità, la sua gentilezza, il non arrendersi mai, i suoi valori».

Vero Annita, sarà la crema, certo è il lavoro, la voglia di andare avanti, lavorare, non scoraggiarsi mai. E anche le tagliatelle, ci scommettiamo, hanno dato il loro bel contributo. Ma l’amore della famiglia, degli amici delle Magnolie ti danno la forza di spengere queste prime 102 candeline. Un abbraccio a te da tutto il quartiere.

 

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