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#6 Nureyev dietro le quinte: “Aids wonna fuck me, I’m gonna fuck Aids”

Gli ultimi difficili mesi di Rudolf Nureyev nella nostra intervista a Moser: «Nessuno doveva vederlo debole, aveva due facce, una nella vita privata e una da uomo pubblico»

Arriviamo alla penultima puntata delle sette del nostro viaggio alla scoperta dell’ultimo e meno conosciuto Rudolf Nureyev. Non sarà una puntata allegra, ma è dovuta, per chiarire quello che forse è l’aspetto più delicato e controverso di Nureyev direttore d’orchestra: la sua lotta e convivenza con la malattia che lo condusse 29 anni fa alla morte. Riapriamo questo triste capitolo con il regista Franz Moser, che fu carissimo amico di Rudolph e suo manager nella “quinta carriera”, quella che pochissimi conoscono: il Nureyev direttore d’orchestra. Franz, che ormai da un decennio è diventato nostro compaesano perché ha scelto di stabilirsi sulle nostre colline alle porte di Firenze, dopo un lungo silenzio, ha deciso di aprire i suoi ricordi a IL.

Prosegue da #5 Nureyev dietro le quinte: «Portava il 43, ma scelse degli stivaletti 42: ‘per la bellezza’, mi disse»

Sono anche gli anni in cui fa prepotentemente la comparsa della malattia che lo condurrà alla morte e del conseguente e rapido declino fisico. Come visse Nureyev questa sua ultima fase di vita? Quale il suo rapporto con la consapevolezza della morte?

« “Aids wonna fuck me, I’m gonna fuck Aids – L’Aids mi vuole fregare, ma io fregherò l’Aids”, diceva. Pareva molto presuntuoso, ma dentro aveva paura, lo so. In ospedale non era un paziente modello, era difficile e urlava appena sentiva dolore. Ma leggendo altre biografie dei suoi ultimi giorni, c’era questa forza sovrannaturale che lo portava al vertice del ballo e che non lo lasciava morire, troppo forte, troppo grande era quest’istinto di sopravvivenza. Durante un’intervista per un noto newspaper americano, due giornaliste mi hanno chiesto: “ma lei si rende conto che Rudolf è malato?” Io risposi di no, forse a tanti sarà sembrato strano, ma per noi, che stavamo con lui ogni giorno, non era malato per niente; stanco a volte, tante volte, ma era vivace e fresco come un ragazzino quando dirigeva l’orchestra.

Nureyev Franz Moser (3)

In compagnia e in pubblico o sul palco scenico, nessuno vedeva un uomo malato. Soltanto a Parigi quando Jack Lang, il ministro della Cultura gli donava la medaglia della Legione, era seduto sul palcoscenico. Mi ricordo a Deauville, un palazzo bellissimo, mentre si stava preparando per dirigere l’orchestra, Rudolf non si sentiva tanto bene: scese dalla camera, debole, ma nel momento in cui vide i fotografi, si dimostrò il re del palcoscenico. Nessuno doveva vederlo debole, aveva due facce, una nella vita privata e una da uomo pubblico. Uscendo mi cadde quasi fra le braccia. Un’altra volta, Capodanno 1991, vomitò appoggiato a me nel parco del palazzo dopo un concerto favoloso per ospiti italiani, che lo acclamavano freneticamente.

Nureyev 6

L’ultimo anno non fu facile per lui. Veniva spesso a trovarlo da Parigi una vera amica, Douce Francois, e stava in ospedale con lui, Rudolf soffriva di insufficienza dei reni. Rudolf in quei giorni mi chiese un piumino grande, lo comprai subito al pomeriggio: 240 x 270 centimetri, king size, non fu facile trovarlo! Ma nonostante quest’investimento molto caro soffriva di freddo, sempre».

(prosegue all’articolo #7 Nureyev dietro le quinte: «Ha rivoluzionato la danza, ma non gli viene data tutta la memoria che merita»)

Le precedenti puntate:

Introduzione: Nureyev dietro le quinte, un’intervista esclusiva a Moser

Prima puntata: #1 Nureyev dietro le quinte: «Incredibile, un uomo così, era un rifugiato senza cittadinanza»

Seconda Puntata:  #2 Nureyev dietro le quinte: «Era un tartaro, come le guardie dello Zar»

Terza puntata:  #3 Nureyev dietro le quinte: «Dopo due anni nessuno può chiamarsi maestro d’orchestra, ma Rudolf era incredibile…»

Quarta puntata: #4 Nureyev dietro le quinte: «Ballava notti intere in discoteca dopo lo spettacolo, poi si presentava puntuale alle prove al mattino»

Quinta puntata: #5 Nureyev dietro le quinte: «Portava il 43, ma scelse degli stivaletti 42: ‘per la bellezza’, mi disse»

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