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Da Pola all’Isolotto, la storia di Edda Baucer, esule istriana

Il raccconto di Edda Baucer, esule istriana.  La fuga a Firenze con l’instaurazione della dittatura comunista in Jugoslavia

L’accoglienza nel neonato quartiere dell’Isolotto, l’inizio di una nuova vita, ma le ferite si fanno sentire ancora oggi

In occasione della Giornata del Ricordo, Isolotto Legnaia ha omaggiato le vittime della persecuzione titina, ricordando che alcuni di loro hanno trovato rifugio e ospitalità proprio all’Isolotto.

Grazie all’intermediazione di una lettrice, siamo riusciti a metterci in contatto con Edda Baucer, esule istriana, oggi 85enne. Un ricordo da restituire nella sua interezza e senza filtro.

La vita a Pola. “Stavamo a Pola. Allora Pola era Italia. C’è l’Arena, come a Roma e come a Verona. Ci sono ancora le vestigia romane. Abbiamo avuto nei secoli anche la dominazione austriaca ma da loro abbiamo solo imparato. Per esempio nel Liberty. Erano molto più avanti di noi e ci è servito molto”.

Il padre Riccardo. “Mio padre era comunista: odiava Mussolini con tutto se stesso. Lui ha rischiato la vita. Lui era partigiano. Mio papà era orafo e orologiaio a Pola. Giocava anche al calcio: Riccardo Baucer (difensore della Dominante dal 1928 al ’30, formazione in foto di copertina ndr)  ha fatto anche il calciatore”.

Pola e la guerra. “Nel ’30 ci fu una grande crisi e tutti andavano a cercare lavoro. Mio papà aveva smesso di giocare a calcio ed è andato a Zagabria a lavorare all’aeroporto. Ho abitato a Novi Sad e poi siamo tornati a Pola, dove sono nata, fino allo scoppio della guerra. A Pola abbiamo passato la guerra. Gli alleati ci bombardavano perché aveva diversi punti importanti come l’arsenale. Durante la guerra le famiglie andavano via a Orsera”.

Il ritorno in città. “Dopo l’armistizio, torniamo a Pola tutti contenti ma, cari miei, dura davvero poco perché nel febbraio del ’47 siamo costretti ad andare via. Fu assurdo perché da italiani diventammo jugoslavi. Come carne da macello. Ci eravamo liberati di Mussolini per finire sotto Tito, da un dittatore all’altro”.

La fuga. “Fino al ’47 siamo stati lì e poi ci hanno detto di andare via. Nessuno di noi era con Tito. Noi ci sentivamo italiani e quando avevo tredici anni siamo andati via con la nave Toscana. Migliaia e migliaia di profughi: eravamo profughi dall’Italia in Italia. Poi siamo andati a Firenze perché mia mamma lavorava nella manifattura dei tabacchi. Mia mamma voleva una città di mare perché a Pola stavamo vicinissimi alla spiaggia ma non c’era posto. O Roma o Firenze ci hanno detto e quindi mia mamma decise per Firenze. Ci hanno portato al centro profughi di via Guelfa, siamo stati lì otto lunghi anni e non ci ha mai aiutato nessuno”.

Il trasferimento all’Isolotto. “L’unico è stato il Sindaco La Pira. Sempre lo ricordo. Veniva da noi per le feste e diceva: “dovreste imparare da questa gente. Guardate quanto sono puliti”. Siamo venuti all’Isolotto.

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Lorenzo Somigli

Giornalista, copywriter, ufficio stampa, social media manager. Innamorato della parola. Mai smettere di comunicare!

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One Comment

  1. Triste realtà per migliaia di esuli Istria o. Dalmati. È vero perdemmo una guerra sbagliata in partenza, ma i cari Liberatori furono con noi troppo duri e vendicativo, non dimentichiamo anche ad Ovest Briga e Tenda e Moncenisio. Già dopo la IGM furono con noi molto…….. parchi. Ma si sa che i Popoli non hanno memoria.

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