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La Palazzina dei Leoni di Via di Scandicci

Un interessante bene monumentale, di gusto neo-trecentesco, sorto al confine fra il capoluogo toscano e la città della Fiera, che testimonia il plurisecolare rapporto tra Firenze e il re della foresta, a cura di Leonardo Colicigno Tarquini per Isolotto Legnaia.it

Numerosi sono gli edifici che si affacciano sulla Via di Scandicci, a metà strada fra gli odierni comuni di Firenze e Scandicci.

Nelle nuove aree marginali della Città del Giglio, a partire dai primi anni del XX secolo, furono costruiti numerosi villini «dalle formule più modeste delle case cooperative […] ai tipi più signorili con fronti a tre finestre e con qualche pretesa decorativa», volendo citare Giuseppina C. Romby.

Architetto del XX secolo, Palazzina "dei Leoni", inizi XX secolo, Firenze, Via di Scandicci.
Architetto del XX secolo, Palazzina “dei Leoni”, inizi XX secolo, Firenze, Via di Scandicci, 36, Foto propria.

Lungo la Via di Scandicci, al civico 36, sorge un massiccio edificio di gusto neogotico, la cui facciata è divisa in due parti: la parte superiore della palazzina signorile è caratterizzata una parete liscia (sulla quale sono state aperte due finestre con cornici in pietra serena e sopra di esse un cornicione con gli stemmi neo-trecenteschi del comune di Firenze– al centro- dell’Arte della Lana– a destra- e dell’Arte di Calimala– a sinistra) mentre la parte inferiore presenta dei massicci blocchi di pietra, ove sono stati aperti l’ingresso della palazzina e una terza finestra, quest’ultima chiusa da una elegante cancellata in ferro.

Architetto e scultore del XX secolo, Fronte della palazzina con cornici in pietra serena. Nella parte superiore della palazzina, stemmi neotrecenteschi.
Architetto e scultore del XX secolo, Fronte della palazzina con cornici in pietra serena e balcone. Nella parte superiore della palazzina, entro delle arcate, alcuni stemmi neo-trecenteschi. Foto propria.

Rimanendo nella parte inferiore dell’edificio, ai lati della finestra aperta verso Via di Scandicci, sono state scolpite delle teste leonine neo-trecentesche, scolpite per tenere lontani gli spiriti maligni dalla palazzina ( si parla infatti di valenza apotropaica), secondo una tradizione iconografica che affonda le sue radici all’epoca dell’antica Mesopotamia. 

Le protomi leonine della palazzina di Via di Scandicci ricordano quelle scolpite da Jacopo di Piero Guidi (notizie dal 1376 al 1412, uno dei più importanti scultori tardo-gotici fiorentini) e aiuti nella Loggia dei Lanzi, alle quali erano attaccare con dei ganci le stoffe che pendevano sopra le panche della Loggia.

Testa leonina neotrecentesca.
Protome leonina neo-trecentesca. Foto propria.
Jacopo di Piero Guidi, Testa leonina, 1380-1390 ca., Firenze, Loggia dei Lanzi.
Jacopo di Piero Guidi e collaboratori, Protome leonina, anni 1380-1390, Firenze, Loggia dei Lanzi. Foto propria.

 

 

 

 

 

 

 

La Palazzina di Via di Scandicci fa parte di una lunga serie di monumenti decorati appunto con dei leoni; Firenze e altre città toscane conservano numerose opere d’arte riproducenti il re della foresta.

L’immagine del leone venne scelta dalla Repubblica fiorentina per dimostrare la potenza politica della città: si narra infatti che il possente felino avesse sbranato un’aquila, emblema imperiale per eccellenza.

Fin dal Medioevo nella città di Dante i leoni erano custoditi in appositi serragli: come si evince da una Riformagione trecentesca, il custode del serraglio doveva vantare nobili natali, pagare da trenta anni le Gravezze (cioè le tasse) e farsi crescere la barba.

Inizialmente i leoni erano custoditi in un serraglio situato nei pressi del Palazzo del Podestà, dopodiché esso venne trasferito in Piazza San Giovanni, poi lungo l’odierna Via dei Leoni e infine nei pressi del Giardino dei Semplici, per poi essere smantellato nel 1775 per volere del granduca Pietro Leopoldo.

La storia più celebre legata a questo serraglio di leoni ebbe però luogo al tempo in cui esso si trovava in Piazza San Giovanni, come racconta Giovanni Villani nella sua Cronica: apertasi una gabbia per mala custodia del guardiano, ne uscì un leone che si mise a scorrazzare per la città, seminando il panico fra gli abitanti. Più o meno all’altezza della chiesa di Orsanmichele trovò un bambino, tal Orlanduccio, da solo e lo prese tra le sue branche, ma la terrorizzata madre del fanciullo riuscì a salvarlo avvicinandosi all’animale senza venirne ferita né lei né il bambino, che quindi si salvò indenne. Orlanduccio venne “adottato” dalla Signoria fiorentina, che provvide a corrispondergli un vitalizio e dopo questa terribile esperienza egli assunse il nomignolo di Orlanduccio del Leone.

La vicenda di Orlanduccio "de' Leoni" in una miniatura trecentesca.
La vicenda di Orlanduccio “de’ Leoni” in una miniatura del XIV secolo. Foto Wikipedia.

Meno fortunato fu Anselmo, che ogni notte, secondo una antica leggenda, sognava di essere sbranato da alcuni leoni; finché un giorno, convinto da alcuni suoi amici, egli decise di affrontare le sue paure: il fiorentino mise una mano nella bocca di uno dei leoni posizionati ai lati della Porta dei Cornacchini (scolpiti dal Guidi negli anni 1380), ma questo gesto gli costò la vita: nella bocca del leone di pietra infatti aveva trovato rifugio uno scorpione e l’animale punse il povero Anselmo, il quale morì forse per lo spavento, oppure per la ferita causata dall’artropode, dando veridicità ai suoi ricorrenti incubi.

Jacopo di Piero Guidi, Leone stiloforo, 1380 ca., Porta dei Cornacchini, Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Jacopo di Piero Guidi, Leone stiloforo, 1380 ca., Porta dei Cornacchini, Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Foto propria.

 

Nella Firenze medioevale, insieme a San Giovanni Battista e ad Ercole, il Marzocco (dal latino Martocus, “piccolo Marte”, nome legato al primo patrono pagano della città gigliata, il dio Marte appunto) era uno dei più importanti patroni della città toscana: dal poema Alla Battaglia di Gentile Aretino si viene a sapere che Marzocco era il grido di battaglia dei Fiorentini; infatti i soldati sconfitti dai Fiorentini erano costretti a baciare il deretano del Marzocco. Addirittura, nel 1331, i Pisani furono costretti a baciare il fondoschiena di un leoncino…in carne e ossa.

Ma il Marzocco più famoso è certamente quello scolpito da Donatello. Esso venne commissionato nel 1420 in occasione del soggiorno fiorentino di papa Martino V e collocato negli appartamenti papali di Santa Maria Novella. Dopo tre secoli di oblio, nel 1812 l’opera la troviamo in Piazza della Signoria, andando a sostituire una precedente e consumatissima scultura trecentesca. Ai tempi di Firenze capitale il Marzocco donatelliano venne ricoverato al Bargello, ove si trova tutt’oggi, mentre in Piazza della Signoria venne collocata una copia dell’animale totemico fiorentino.

Marzocco, copia dell'originale scultura donatelliana (1420 ca.) oggi conservata al Bargello, Firenze, Piazza della Signoria.
Donatello, Marzocco, Firenze, Piazza della Signoria. L’originale scultura donatelliana dal 1865 si trova al Bargello. Foto Wikipedia. 

Il Marzocco veniva impiegato anche per segnare il territorio: dalle memorie del pittore Leone Cobelli si viene a sapere che il summenzionato artista eseguì un affresco riproducente, appunto, il Marzocco,  nella torre del palazzo comunale di Castrocaro (odierna Castrocaro Terme e Terra del Sole, in provincia di Forlì-Cesena) un tempo parte dell’antica Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae. 

Leonardo Colicigno Tarquini

Fonti

Cronache Forlivesi di Leone Cobelli, a cura di G. Carducci ed E. Frati, Bologna, Regia Tipografia, 1874;

T. J. McGee, “Alla Battaglia”: Music and Ceremony in Fifteenth-Century Florence, “Journal of the American Musicology Society, vol. 36, no. 2 ( Summer, 1986), pp. 287-302;

 Le statue della Loggia dei Lanzi. Capolavori restaurati, Firenze, Giunti, 2002;

Firenze e provincia. Guida del Touring Club Italiano, Milano, Touring Club Editore- La Biblioteca di Repubblica, 2005.

 

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Leonardo Colicigno Tarquini

Leonardo Colicigno Tarquini (nome d'arte di Leonardo Colicigno) si è laureato con lode discutendo una tesi in storia dell'arte coi professori Tigler e Cervini, tesi da cui è stato tratto un articolo pubblicato negli atti del IX Convegno di Studi Medievali curato dall'associazione NUME-Gruppo di Ricerca sul Medioevo Latino di Firenze nel 2023. È affascinato, come molti medievisti, sia dal Medioevo autentico, che di reinvenzione. Nel 2018-2019 ha diretto, insieme ad alcune associazioni culturali fiorentine e scandiccesi, il progetto "Scandicci Open Villas", partecipando attivamente alla stesura di brevi schede storico-artistiche dedicate ai principali beni culturali di Scandicci e all'organizzazione di visite guidate agli edifici storici del sopracitato Comune. Ha partecipato, inoltre, alla produzione di un docufilm sulla Pieve di San Giuliano a Settimo (regia di V. Zappia, 2019).

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