Il "primo atto", tra storia e leggenda, della plurisecolare storia di uno dei più importanti beni monumentali di Scandicci: dagli affreschi di Grifo di Tancredi nella Cappella di San Jacopo all'impresa di Colombo.
La storia recente della Villa di Castelpulci è tristemente nota a tutti. Con questo articolo desideriamo fare un salto indietro nel tempo, nel Medioevo volendo essere precisi, quando al posto di questa superba struttura di gusto sei-settecentesco, oggi sede della Scuola Superiore della Magistratura, sorgeva un castello, costruito dai Cadolingi, patroni dell’abbazia di Settimo, e ampliato dai Pulci.
L’importante strategicità della zona è documentata fin dal più lontano Medioevo: non lontano dalla Villa di Castelpulci, gli stessiCadolingi eressero un secondo castello, quello di Montecascioli, dal quale partirono numerose incursioni contro la vicina Firenze e che venne distrutto dai Fiorentini all’inizio del XII secolo.
Ma torniamo alla Villa di Castelpulci: come abbiamo precedentemente specificato, al posto di questo superbo edificio di gusto sei-settecentesco, la ricca famiglia Pulci costruì a Scandicci un castello e una cappella. Secondo una antica leggenda, Ugo di Toscana avrebbe elevato al rango nobiliare diverse famiglie fiorentine, come quelle dei Nerli e dei Pulci, famiglie che ebbero l’onore di fregiarsi dello stesso blasone di Ugo e che possedevano numerosi edifici scandiccesi.
Alla fine del XIII secolo la famiglia Pulci era ben in vista non solo a Firenze: sappiamo infatti che un tal Ponsardo venne nominato podestà di Viterbo nel 1286, mentre alla fine del secolo XIII Ser Manetto prese in consegna, per conto degli Este, il castello di Argenta, nel ferrarese, e all’inizio del nuovo secolo egli ottenne la cittadinanza veneziana.
Al castellum scandiccese sappiamo che era collegata una cappella dedicata a San Jacopo, fondata molto probabilmente alla fine del Duecento. L’edificio in questione è staccato dalla dimora signorile ed è situato al centro del fabbricato di servizio. Attualmente l’oratorio di Castelpulci si presenta con una veste architettonica settecentesca, che in minima parte ha salvato le originali tracce dugentesche.
L’edificio è noto tra gli storici dell’arte per alcuni affreschi riproducenti alcuni episodi della vita di Santa Caterina d’Alessandria (databili non oltre il primo decennio del XIV secolo), affreschi scoperti nel 1963 nell’intercapedine tra la volta posticcia e il tetto della cappella.
Secondo la tradizione, Caterina era una bella giovane egiziana e la Legenda Aurea specifica che era figlia del re Costa, il quale la lasciò orfana giovanissima, e che fu istruita fin dall’infanzia nelle arti liberali. Caterina venne chiesta in sposa da molti uomini importanti, ma ebbe in sogno la visione della Madonna col Bambin Gesù che che le infilava l’anello al dito facendola sponsa Christi. Un imperatore romano, prosegue la leggenda, tenne grandi festeggiamenti in proprio onore ad Alessandria d’Egitto. La santa si presentò a palazzo nel bel mezzo dei festeggiamenti, nel corso dei quali si celebravano riti pagani con sacrifici di animali e accadeva anche che molti cristiani, per paura delle persecuzioni, decidessero di abiurare la loro fede partecipando alle cerimonie pagane. Caterina rifiutò i sacrifici e chiese all’imperatore di riconoscere Cristo come redentore del genere umano, argomentando il suo invito con profondità filosofica. La Legenda Aurea narra come l’imperatore sarebbe stato colpito non solo dalla cultura della santa, ma anche dalla sua bellezza; così convocò a palazzo un gruppo di filosofi affinché la convincessero a onorare gli dei e, allo stesso tempo, la chiese in sposa. I filosofi non solo non riuscirono nell’impresa, ma essi stessi, per l’eloquenza di Caterina, furono convertiti al Cristianesimo.
L’imperatore furibondo ordinò l’immediata condanna a morte dei filosofi e dopo l’ennesimo rifiuto di Caterina (che nel frattempo era stata incarcerata) la condannò a morire col supplizio della ruota dentata. Dopo che la santa venne posizionata sulla ruota dentata, il cielo, dapprima limpido, si riempì di nuvoloni neri, e un fulmine spacco a metà la ruota dentata. La vicenda terrena della santa si concluse con la sua decapitazione.
Le scene affrescate nella cappella scandiccese, riproducenti La disputa di Santa Caterina, Il rogo dei filosofi e l’Imperatrice che visita la santa in carcere, sono tagliate in basso dall’intersezione dell’attacco della volta settecentesca, mentre in alto sono troncate forse da intonaci rifatti probabilmente per volere di Cosimo Riccardi.
Purtroppo ignoriamo quale membro della famiglia Pulci abbia commissionato gli affreschi. L’unico documento in cui il nome di un Pulci è (probabilmente) unito al complesso scandiccese potrebbe essere quello di tal Pulce di Fiorenzino, il cui sigillo, riproducente un edificio fortificato, identificabile nell’originaria struttura medioevale della villa, con attorno la legenda «SIGILLUM-PULCIS-FILII-DOMINI-FLORENZINI», venne pubblicato dal Manni nelle sue Osservazioni istoriche.
Altri studiosi, sulla base dell’intitolazione della cappella a San Jacopo, hanno riconosciuto come probabile committente degli affreschi di Castelpulci il religioso Jacopo Sinibaldo, nominato da papa Niccolò IV prima parroco di una chiesa irlandese, poi canonico di Romsey e infine arcidiacono di Winchester. Il Pulci volle probabilmente imitare il mecenatismo pontificio, dal quale dipendevano le sue fortune, commissionando le storie di Santa Caterina di Alessandria ad un pittore “moderno”.
La maggior parte degli studiosi ha accolto la proposta avanzata dal Boskovits nel 1976 ( e ribadita dal Tartuferi nel 1988) il quale attribuì gli affreschi scandiccesi a Grifo di Tancredi ( già Maestro di San Gaggio,documentato fra il 1271 e il 1303), uno dei primissimi interpreti dell’attività fiorentina di Giotto.
Il Trecento fu un secolo, purtroppo, foriero di eventi drammatici che coinvolsero anche il castello scandiccese: nel 1321 a causa del fallimento del banco dei Pulci, il complesso di Castelpulci passò al cardinale Napoleone Orsini. Quattro anni più tardi le truppe di Castruccio Castracani, acquartierate a Signa, misero a ferro e fuoco non solo la residenza dei Pulci, ma anche Legnaia e molte altre zone dell’hinterland fiorentino.
I Pulci rientrarono in possesso dell’edificio intorno agli anni 1370 e ne promossero la ristrutturazione. Successivamente esso venne diviso tra i vari rami della famiglia Pulci, come il ramo del poeta Luigi, autore de Il Morgante, che qui si ritirava non solo per immergersi nell’otium caro agli antichi Romani, ma anche per sfuggire agli esattori delle tasse.
Vorremmo concludere questo nostro articolo, nuovamente, con una leggenda. Forse non tutti sanno che la “follia” di Colombo proposta ai sovrani spagnoli raggiunse anche la pittoresca cornice della Villa di Castelpulci.
Ebbene una sera, Luigi Pulci invitò a cena nella sua villa scandiccese alcuni amici e lesse loro alcuni passi del suo Il Morgante.Quella sera il poeta lesse un passo nel quale compare Astradotte, un demone sapiente che disserta di questioni scientifiche con un cristiano, che la fantasia del Pulci gli fa dire come si possa viaggiare oltre le Colonne d’Ercole,oltre cioè i confini del mondo civile all’epoca conosciuto.
Ad un certo punto il Pulci venne interrotto da un tizio che, con grande presunzione e arroganza, disse che «ogni huom savio che si rispetti non vole, come tu scrivi, valicar l’Erculee columne, poiché l’ignaro peregrino potrebbe finire in pasto a monstruosi pesci, et balene».
In difesa del Pulci intervennero due importanti personaggi dell’epoca, Lorenzo il Magnifico e il matematico e cartografo Paolo Dal Pozzo-Toscanelli (altro scandiccese d’adozione).
Prese la parola il Magnifico:«Deh, Gigi è un buontempone, ma egli è homo savio; ergo io credogli». Poi fu il turno del Dal Pozzo-Toscanelli. «Messeri, scrissemi qualche dì addietro tal Christophero Colombo, il quale desia truovar rotta più breve per giunger le Indie facendo vela per ponente. Et volle de me mappe et calculi relativi alla distanzia che separa l’Europa da le Indie». «Oibò!» disse il presuntuoso amico del Pulci, «Qual inconsueta et temeraria impresa!» «Che la Divina Provvidenza et li regnanti d’Ispagna lo sostengano!» concluse il Toscanelli. E la sua profezia si avverò.
Nel 1498, col matrimonio di Lucrezia Pulci con Francesco di Tommaso Soderini, il fortilizio dei Pulci entrò nel patrimonio di quest’ultimo casato. Ma questa è un’altra storia.
A cura di Leonardo Colicigno Tarquini, storico dell’arte medioevale.
Bibliografia
Conoscere Scandicci, 5 voll., a cura del Comune di Scandicci, Scandicci (FI), Grafiche Tre Effe, 1985;
La Villa di Castelpulci, a cura di P. Rustici, Firenze, EDIFIR, 1999;
Angelo Tartuferi, Grifo di Tancredi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2002.
La nostra attività è possibile anche grazie al sostegno di queste attività di quartiere
Leonardo Colicigno Tarquini si è laureato con lode in Storia dell'Arte presso l'Università degli Studi di Firenze. Al centro dei suoi interessi c'è il Medioevo, sia quello autentico, sia quello di reinvenzione.
Nel 2018-2019 ha diretto, insieme ad alcune associazioni culturali fiorentine e scandiccesi, il progetto "Scandicci Open Villas", il cui obiettivo consisteva nella valorizzazione dei beni culturali del territorio. Ha preso inoltre parte alla produzione di un docufilm sulla Pieve di San Giuliano a Settimo.