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Un illustre Scandiccese d’adozione: Gaspero Doney

Dalla Francia napoleonica a Scandicci: "vita, morte e miracoli" del fondatore del celebre Gran Café Doney

Nella lussuosa Via Tornabuoni, nel centro di Firenze, sorge il massiccio Palazzo Altoviti-Sangalletti, famoso per aver ospitato il Gran Café Doney, fondato dall’italo-francese Gaspero Doney nel 1827.

Nato a Lione nel 1795, rampollo di una nobile famiglia, Doney si arruolò volontariamente nella Grande Armée, dove combatté col grado di maggiore. Quella dei Doney era una famiglia fedele ai Borbone, tanto da annoverare un “martire dal sangue blu”, deceduto durante la Rivoluzione Francese, e non riuscì a “digerire” il fatto che il giovane Gaspero avesse sposato la causa napoleonica: infatti, quando il nobiluomo tornò a casa, l’accoglienza fu alquanto freddina e Gaspero venne cacciato di casa.

Palazzo Altoviti-Sangalletti (foto Wikipedia).
Palazzo Altoviti-Sangalletti (foto Wikipedia).

Prima di partire però, il padre Pierre, gli diede una rilevante somma di denaro, e grazie ai soldi di papà Gaspero iniziò un lungo viaggio nell’Europa continentale. Arrivato a Firenze all‘inizio degli anni 1820, egli si dedicò ad importare specialità parigine per poi aprire un primo locale in Via del Castellaccio. Dopo poco tempo il successo gli permise di trasferirsi nell’attuale Via Tornabuoni (all’epoca chiamata Via de’ Legnaiuoli) , dove all’interno del già citato Palazzo Altoviti-Sangalletti, fondò il Café Doney, anche se veniva spesso chiamato «Caffè delle Colonne», per le quattro colonne che sostenevano le volte della sala.

L'interno del Gran Café Doney in una stampa dell'epoca.
L’interno del Gran Café Doney in una stampa dell’epoca.

Il locale era frequentato sia dalla bella società fiorentina, sia dai contadini di Legnaia e Casellina e Torri che, prima di recarsi al Mercato Centrale di Firenze, si fermavano a fare colazione. Spesso il locale era menzionato nelle guide di Firenze della prima metà dell’Ottocento e i suoi prodotti finirono addirittura nei vassoi delle esposizioni italiane e universali.

Gli affari andavano bene, ma Gaspero non era soddisfatto; così decise di “scendere in campo” per la “sua”  Scandicci, facendosi eleggere Cancelliere.

Come ogni buon aristocratico che si rispetti, anche Doney si mise alla ricerca di una dimora signorile suburbana degna del suo nome. La scelta ricadde su un edificio turrito costruito dai Del Mare nei pressi del torrente Vingone. Al posto di questa antica struttura sorse la monumentale Villa Doney, progettata, secondo alcuni studiosi, da Giuseppe Poggi.  La villa, oggi divisa in appartamenti, contava ben ventiquattro stanze con alti soffitti e fu una delle prime dimore scandiccesi ( se non addirittura la prima) ad avere l’ “acqua in casa”.

Villa Doney.
Villa Doney.

Alla morte di Gaspero, avvenuta nel 1875, la villa e la gestione del locale fiorentino passarono ai nipoti dell’ex ufficiale napoleonico, i signori Sorel-Thompson. La figlia di Gaspero, Amalia Doney-Moroni, classe 1821, sposò un dipendente della ditta paterna, il parigino Jean Baptiste Émile Sorel (deceduto nel 1854) discendente di quella famosa Agnès che fu amante di Carlo VII di Francia. Dalla loro unione nacquero sei figli. Quattro anni dopo la morte di Sorel, Amalia convolò a nozze con l’anglo-americano Giacomo ( James)  Thompson, il quale costruì, a sue spese, una “succursale” del Café Doney alle Cascine e il bel giardino romantico che circonda la villa scandiccese.

Da una testimonianza di Aldo Palazzeschi emerge una Villa Doney “assai viva”, frequentata dai figli e i nipoti di Amalia Doney che ogni giorno, alla stessa ora, «si sedeva a tavola, mangiando, sì, una volta nelle ventiquattr’ore della giornata, ma mangiando per ventiquattro persone […]. E guai se le pietanze non erano tutte di suo gusto e cucinate a dovere, era esigentissima in quell’arte che conosceva profondamente e che poteva insegnare a tutti e a tutte l’ore.»

Amalia sopravvisse anche al secondo marito e si spense nel 1915. Venne seppellita nella neogotica capella Thompson-Sorel, nel cimitero di Sant’Antonio a Scandicci, accanto all’adorato babbo.

Lo storico «Caffè delle Colonne» di Via Tornabuoni cessò la sua attività nel 1986; le sue sale oggi ospitano un negozio di lusso.

Leonardo Colicigno Tarquini, storico dell’arte medioevale.

Bibliografia

Guido Carocci, I dintorni di Firenze, nuova guida-illustrazione storico-artistica, Firenze, Tipografia Galletti e Cocci, 1881;

Via Tornabuoni: il salotto di Firenze, a cura di M. Fozzer, Firenze, Loggia dei Lanzi, 1995;

Aldo Palazzeschi, Stampe dell’800, a cura di E. Ghidetti, Milano, Mondadori, 2003 (ediz. or. Milano-Roma 1932);

Giuseppe Garbarino, Leggende, racconti e ricordi di Scandicci, Firenze, AB Edizioni, 2017.

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Leonardo Colicigno Tarquini

Leonardo Colicigno Tarquini si è laureato con lode in Storia dell'Arte presso l'Università degli Studi di Firenze. Al centro dei suoi interessi c'è il Medioevo, sia quello autentico, sia quello di reinvenzione. Nel 2018-2019 ha diretto, insieme ad alcune associazioni culturali fiorentine e scandiccesi, il progetto "Scandicci Open Villas", il cui obiettivo consisteva nella valorizzazione dei beni culturali del territorio. Ha preso inoltre parte alla produzione di un docufilm sulla Pieve di San Giuliano a Settimo.

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